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Alatri – “Ma il mandolino ed il banjo di Gisto l’Africano dove sono finiti”? : la storia di Gisto

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Sono ancora tanti ad Alatri che si chiedono: “Ma il mandolino ed il banjo di Gisto l’Africano dove sono finiti? I figli Luigi Anna, Luigi e Giuseppe meglio conosciuto come Giosi a questa domanda non sanno rispondere. E come sarebbero felici ritrovare i due strumenti del caro papà.  E se poi spuntasse fuori da qualche cassetto anche una foto di Gisto all’interno o fuori della storica cantina di via delle Monachelle?


 

I giovani si staranno chiedendo: “Egisto! Chi fu costui?”. Egisto Rossi classe 1908 insieme alla consorte Giovanna Cataldi gestivano una bottega di vino e cucina nel grazioso vicolo delle Monachelle, situato di fronte la chiesa di San Francesco. Ma perché Gisto aveva questo curioso sopranome? E’ il figlio Giosi a rivelarci l’arcano. “Mio nonno paterno Luigi, partito nel 1935 per la guerra coloniale in Etiopia rimase ad Addis Abeba per sei anni.

Al suo ritorno ad Alatri mentre percorreva la strada che dalla Piazza conduce a Porta San Francesco fu riconosciuto da alcune persone. Ma questo signore scuro di carnagione non è Luigiucci Rossi – esclamò qualcuno? Era proprio lui, annerito da sei anni del sole del vecchio continente, e per questo da quel giorno diventò Luigi l’Africano. Logica e naturale conseguenza il figlio Egisto non potette che chiamarsi Gisto l’Africano. Nonno Luigi – continua Giosi – aprì la cantina e dopo la sua morte fu rilevata da papà” Ma chi insegnò a Gisto a suonare chitarra, banjo e mandolino? Il maestro di musica Pippo Cianfrocca.

Il buon Gisto e la moglie Giovanna mescevano buon vino bianco della Pietra Bianca e un altrettanto rosso cesanese del Piglio. “Papà da giovane era un atleta – racconta emozionato Giosi. Eccelleva nel calcio e nel salto in alto. A 17 anni gli diagnosticarono un malanno al ginocchio, credo si fosse formata nell’acqua. A quel tempo (siamo nel 1925) non vi era cura, papà rimase anni disteso nel letto e quando finalmente decise di alzarsi la schiena rimase piegata”. La signora Giovanna Cataldi in Rossi era una brava cuoca. Chi non ricorda le gustose lumache di Giovanna, le teste di abbacchio, o le alici e il baccalà il venerdì portato da Sbaraglia. “Papà acquistava l’ ciammarug’ dai contadini di Monte San Marino, le metteva in una gabbia con la farina e dopo 15 giorni erano pronte per essere gustate.

Venivano prenotate anche dalle altre cantine: Antonietta, Ciammaruga e La Rosetta”. Gisto intratteneva i clienti suonando banjo, mandolino e chitarra: stornelli romani e ciociari. Dalla mattina al pomeriggio inoltrato gli avventori erano tanti e molti di loro non tornavano a casa con le loro gambe. Spesso erano le mogli a venirlo a prendere. Era l’unica occasione concessa alle donne di entrare nella cantina. Dove si giocava a tresette; ma bisognava tacere e non parlare altrimenti c’erano un coltellaccio pronto all’uso sotto il tavolino e alla morra.

La cantina di Gisto detto l’Africano è rimasta aperta fino alla fine degli anni 80 del secolo scorso. Con la chiusura della piccola cantina è sparita un’altra storica bottega. Ma quando si transita nei pressi di vicolo delle Monachelle, se si indugia un pochino, si chiudono gli occhi, si lavoro con un po’ di fantasia si sente ancora il profumo del vino bianco (poche gocce) caduto sui vecchi tavolini di legno e sui mattoni del pavimento, si sente anche il profumo dei sigari toscani e del trinciato forte, ma soprattutto si odono le note del mandolino e del banjo di Egisto Rossi meglio conosciuto come “Gist gli African”.

Bruno Gatta