HOMEPAGE CRONACA Veroli e il culto delle Madonne vestite

Veroli e il culto delle Madonne vestite

2029
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 Il gesto della tessitura come metafora della preghiera. Da secoli a Veroli persiste il culto della Madonna vestita, una speciale devozione che si manifesta nella cura e nel dono di abiti preziosi e capelli veri come simbolo votivo. Pregiati e autentici capolavori lavorati dalle suore del Monastero verolano di clausura di Santa Maria dei Franconi. Ogni popolo ha le sue Regine. Le cura, le segue per le vie sassose e illuminate, le venera come può. La devozione del popolo verolano verso la Madre di Dio ha volti di giada, occhi trasparenti, capelli di seta e dita finissime. Abiti ricamati di stoffe pregiate, pietre preziose come le gemme sui rami di ciliegio in fiore. Le Madonne di Veroli pare abbiano storie a sè: diverse provenienze, diversi nomi, diversi luoghi, diversi cammini. Una venerazione che è patrimonio irrinunciabile e parte integrante che lega Veroli al suo passato. Non in questo tempo, ma la prima brina di settembre a Veroli profuma di devozione a Maria. Di tradizione, di cultura, di bello. Di nastri sciolti per le vie della terra ernica che partono e tornano recitando antichi canti e litanie. A percorrere le strade del paese, il primo sabato di settembre, è la Madonna della Pietà. Venerata e custodita nella chiesa situata nell’antico borgo di Santa Croce. La tradizione afferma che la chiesa fosse un tempo il vecchio ospedale dei pellegrini o dei poveri mendicanti, elevata a parrocchia da Francesco Quignones, cardinale di Santa Croce in Gerusalemme, mentre era Prefetto di Veroli e dimorava presso la chiesa il cui altare era dedicato a Santa Maria della Visitazione. La dolcissima effige della Madonna della Pietà è divenuta da subito la protettrice del borgo. Il volto dolce, le braccia raccolte sul petto in un gesto che tutti accoglie a sè. Un tempo quelle erano vie di fatica e la tenacia e la speranza erano doti dell’animo necessarie per il vivere dei singoli e della comunità. La processione di quella Madonna vestita con abiti ricamati era una rappresentazione di dolore e di speranza, era il ringraziamento per la protezione ricevuta. Lo è ancora oggi che l’incertezza dei tempi non è finita. Altro rione, altra quota, stessa devozione per la Madonna delle Grazie, custodita in una nicchia nella chiesa di San Michele Arcangelo, attestata già nell’anno 1000. Sono solo pochi anni che la graziosa statua viene di nuovo portata in processione nella seconda domenica di settembre, ma la devozione del popolo ernico alla Madonna delle Grazie risale alla metà del XVI secolo. Da alcuni atti di visite pastorali risulta infatti che in quell’epoca esisteva già una confraternita a Lei dedicata. Incarnato pallido, occhi castani e labbra rosee, la dolcezza di una madre che stringe nell’alveo naturale del suo petto il suo Bambino benedicente dal volto delizioso e incorniciato da boccoli biondi scolpiti. Come d’usanza in quasi tutte le Madonne di Veroli, anche la Madonna delle Grazie ha capelli veri scuri, attaccati su quelli originali modellati in cartapesta castano chiaro. Le donne del paese ringraziavano così le loro Regine, offrendo in forma votiva i lunghi capelli che a tutt’oggi cingono i volti delle Madonne, tranne che per la Madonna della Pietà. L’attuale statua è stata acquistata in una bottega milanese nel 1909. Particolare attenzione va riservata all’abito. Il corredo della Madonna delle Grazie di Veroli ha suscitato forti attenzioni da parte della Soprintendenza che indaga il fenomeno artistico e antropologico delle Madonne Vestite nel Lazio. Un fenomeno così forte e di spessore al quale è stata dedicata una mostra itinerante “Tessere la Speranza”. Una delle sette edizioni fu riservata al culto della Madonna delle Grazie. Nelle sedi di Viterbo e di Roma nel 2018 venne esposto l’abito della Madonna di Veroli insieme al corredo della Madonna delle Grazie di Arpino. Fu la restauratrice Maria Grazia Bottoni, al tempo stesso consulente scientifica e autrice delle schede tecniche, che concentrò l’attenzione sul corredo della statua verolana. Questo è costituito da due camiciole e due abiti, uno feriale ed uno festivo. Il loro ricamo ed il loro confezionamento, databile alla fine del XIX secolo, si deve all’abilità delle monache del Monastero benedettino verolano di Santa Maria dei Franconi. Così come tutti i pregiatissimi abiti delle Madonne vestite verolane. Fiori e foglie in lama d’oro, ricami a rilievo, steli di rose da cui emergono numerose spine ricamate in canutiglia. Al centro delle rose e dei fiori è posto un cristallo color topazio o azzurro. Di notevole pregio la manifattura delle foglie delle rose, in cui l’uso del filato in oro e della lama ne esalta la forma. Tutti i dettagli di questi capolavori sono riportati in volumi corredati di foto che hanno seguito le mostre itineranti. Due cordoni di fedeli in un clima di silenzio e meditazione accolgono, a metà settembre, l’uscita della statua della Madonna Addolorata dalla chiesa della Santissima Annunziata, una suggestione antica che si ripete da oltre due secoli. Due secoli di storia, di culto, di fede. Poco si sa delle origini della statua che continua a raccogliere a sè centinaia di fedeli, di quella Madre Addolorata dal volto bello e dagli occhi tristi e trasparenti che apre al mondo con speranza e redenzione. In realtà si presume che un’altra effige dell’Addolorata fosse già presente a Veroli perchè nel ‘Registro Pia Unione dell’Addolorata’ 1798-1868, un documento del 1817 attesta che i “Festaroli” della confraternita commissionarono una nuova statua dell’Addolorata “fatta lavorare in Napoli di altezza palmi sette Romani della valuta di circa 22,17 scudi”. Non è certo neanche l’autore. C’è chi l’attribuisce al Verzelli. Il cambio dei vestiti dell’Addolorata segue un calendario ormai cristallizzato che rispecchia il tempo liturgico nella scelta dei colori e dell’abito più o meno prezioso, per le diverse ricorrenze. Al rito amorevole della vestizione, interdetto ai fedeli, con i delicati, preziosi e austeri corredi dell’Addolorata possono partecipare solo le “sorelle” appartenenti alla Confraternita della Morte Carità ed Orazione e Pia Unione dell’Addolorata. Il manto nero impreziosito da topazi e gemme preziose colpì l’attenzione del marchio Fendi che propose alla parrocchia di Veroli di farlo sfilare insieme ad altre sue creazioni. Ma non sempre il sacro e il profano riescono a trovare accordi e Veroli non avrebbe mai ceduto, per nulla la mondo, un oggetto così sacro e simbolicamente importante. La statua dell’Addolorata di scolpito, ha soltanto il busto e il volto, i piedi e gli avambracci con le mani, il resto è una incastellatura di legno e metallo. Stessa tecnica delle altre statue verolane rappresentanti Maria. Il corpo così semplice e informe ha l’unica funzione di poter agevolmente sostenere il tutto e a volte di poter essere articolato in un qualche movimento espressivo delle braccia. E’ nato per essere vestito. La tecnica di eseguire statue in cui si realizzino le estremità con un materiale e il corpo con un altro è antico. Nella Grecia arcaica si utilizzava questa tecnica per realizzare gli Acroliti; statue con testa, mani e piedi in marmo e corpo, in legno o terracotta, rivestito di abiti. L’utilizzo popolare di questa tecnica dava attraverso l’utilizzo di veri abiti la possibilità di presentare l’effige, in maniera più viva e vicino al fedele. Diversa manifattura invece la piccola e dolcissima statuina custodita nel santuario dell’Olivella e quella della Madonna del Rifugio, Madre e Regina della comunità verolana di San Leucio. Ad entrambe manti color del cielo e preziosi ricami quasi a voler legare con l’oro la mano dell’uomo con quella di Dio. Questa commistione tra il divino e l’umano rappresentato dalle Madonne vestite di Veroli resta un patrimonio da custodire nell’avvicendarsi dei giorni e dei secoli, con la devozione che cura ogni cosa, con il silenzio e la preghiera che insegnano a tessere la vita, con la stessa meravigliosa attenzione con cui si ricama un giglio o una rosa su quegli abiti e quei manti che coprono da secoli le debolezze degli uomini. La bellezza, gli ori e quello che può sembrare “sfarzo” non è altro che la celebrazione del grande mistero del sacrificio di una Madre.

Monia Lauroni