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“Veroli acqua e colori”, la personale di Massimo Terzini tra concretezza e evanescenza

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La mano che toglie affinché l’occhio veda. Quel dono straordinario, che va ben oltre la tecnica, di saper cogliere l’attimo mostrandolo nella migliore prospettiva possibile. Un occhio da architetto e un occhio da artista al soldo della bellezza. Ne è dimostrazione la mostra di opere di Massimo TerziniLa bellezza mai scrutata verolana  da alcuni giorni è “di casa” proprio a Veroli, dove, presso il Chiostro di Sant’Agostino è in corso la personale dell’artista verolano “Veroli acqua e colori”. Ogni opera di Massimo è il retaggio di un impegnativo studio preparatorio della scena e della sua messa a fuoco, di una analisi logica del particolare. L’atmosfera di perfezione esecutiva che pervade i dipinti ben poco ha a che fare con una certa perdurante, ma ormai stantia vulgata ‘iperrealista’, dove il colore e il calore vengono raffreddati e congelati, anzi ibernati, nell’artificio della clonazione fotografica, della mera replica da ricalco, da paesaggi dell’insieme o dall’astrattismo cosmico.

Ogni opera è il retaggio di un impegnativo studio preparatorio della messa a nudo, di una analisi logica del particolare svuotato da orpelli e distrazioni. Veroli si fa oggetto, esposto come soprammobile accanto a vasi e fruttiere, l’interiorità resta preclusa. Fino a divenire assenza. La personale di Massimo è un set privatissimo, un percorso mentale obbligato che viene stabilito dagli input iniziali, sia visuali sia psicologici, dalla strategia delle luci e delle ombre primarie, che è poi alla base dell’articolazione dei pieni e dei vuoti, della mimesi dei riflessi, della sottigliezza delle gradazioni luministiche, nella squisita e parsimoniosa gamma dei rosa, dei grigi, dei bianchi, dei verdi e gli arancioni sempre attentamente e dolcemente raccordati. Un ordine che lentamente si dissolve nell’entropia del bianco siderale. La Veroli di Massimo Terzini tiene a riparo da spaesamenti davanti ad orizzonti troppo vasti, ma diventa necessità di farsi nido per le cose che non chiedono. Inconsapevolmente da pittore della ragione a pittore del sentimento, che pone come elemento fondamentale il rapporto luce materia, monocromatismo e evanescenza.

 

La schiaritura dei colori, le tonalità, l’equilibrio compositivo, il controllo costruttivo è perseguito per realizzare un ordine mentale che costruisce forme pittoriche lì dove il sole non arriva ad illuminare le cose. L’artista autentico nasce così, dalle cose, dai dettagli, dai personaggi che hanno fatto la storia vera, comune.  Le idee vengono dopo, come confronto con esse. Nasce da un atto di amore con la pietra che ti appartiene che ti costringe a guardare; per un bisogno di viverla un poco di più e fermare con l’immagine la porzione più lunga di tempo. La pittura di Massimo è memoria, è voler rivivere quel che si è già vissuto senza accorgersene, rielaborando un passato per sempre sfuggito e prefigurare un futuro immortale. Sorge dall’immagine presente, che diventa frutto di memoria. Che è nata allora, quando si è vista, catturata nell’ unità tonale dell’ambiente. Allora quel particolare diventa simbolo,  simbolo della cosa vista, ripensata, rovesciata nella sua grandezza. I paesaggi dei luoghi originali di ispirazione conservano qualche particolarissimo riferimento fisico: un’ansa, un albero, un arco, un’ombra su una casa, e si impongono soprattutto per la decisa semplificazione che esalta una sorta di empatia atmosferica che porta la realtà alla dimensione del particolare piuttosto che viceversa, come invece accade generalmente.

Apparizioni evanescenti, porte, muri, vicoli e catene che resistono all’omologazione. Sporcati dal tempo ma restituiti al mondo come luoghi nascosti che non ti vengono incontro ma si fanno cercare. E’ una Veroli che ti coglie all’improvviso. Le cose che sembravano care diventano stanche e si fanno estranee ma non ne avverti per tempo il rumore. Succede quando lo sguardo muore dove non arriva per pigrizia o abitudine. Massimo ha cercato il contatto delle cose, degli incontri nudi e mirati. E tu quasi ti perdi nelle sue ordinate messe in scena dall’atmosfera consolante, sconosciuta e intimamente tua, un po’ come quando eri bambino e andavi alla ricerca della natura nuova. Davanti a queste opere  ti accorgi come è facile essere ingrati di fronte all’abitudine. Tutto è così bello che sembra arrivare da un altro mondo. In quelle nicchie di luogo di acqua e colori ti senti parte di Veroli e finalmente ritrovi quella fiera consapevolezza di crederti diverso.

Monia Lauroni