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Da La Rocca di Civitavecchia ad Acropoli di Alatri, quando la carta ha tante anime ed un solo nome: Strambi

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Le case editrici raccolgono storie, le tipografie ne fanno corpo.  Un lavoro di passione,  a volte anche di coraggio. Forse non lo si immagina, ma anche questi luoghi hanno storie vive da raccontare, perse nei calendari ingialliti che iniziano i giorni da altri tempi e da altri luoghi. Storie di transizioni, di sangue, di cadute e di successi. Storie di legami e di forza di andare avanti, malgrado tutto, nonostante tutto. In fondo non siamo tanto diversi dai nostri antenati, contaminati sì dal moderno, ma le radici restano le stesse e i nostri rami si nutrono della stessa linfa di chi ci ha preceduto nel nome e nella carne.

Esistono  storie che vanno ricordate, personaggi che la cui memoria non può essere lasciata ad essiccarsi nella terra che li ha custoditi e poi ricoperti. Una terra lontana da quella di Alatri, ma che è stata la culla di quella realtà imprenditoriale  che oggi ha preso il nome di Tipografia Acropoli e Davide Strambi Editore. Civitavecchia, inizi ‘800. Nasce il 25 settembre 1806 Michele Arcangelo Francesco Strambi. Alla giovane età di ventitré anni inizia a lavorare come stampatore camerale. Durante il pontificato di Paolo V la tipografia vaticana fu assorbita da quella camerale con sede a Roma. A Civitavecchia però, esisteva una succursale della stamperia camerale di Roma e proprio lì Arcangelo Strambi iniziò a muovere i primi passi nel campo della stamperia. 

E’ il 1829, quando il cardinale Bartolomeo Pacca divulga le sue memorie con  tre volumi “Notizie sul ministero del card. Bartolomeo Pacca pro-segretario di stato della s.m. di papa Pio VII” e la “Relazione dei due viaggi fatti in Francia dal card. Bartolomeo Pacca” in due tomi. Parte da questi scritti l’esordio del tipografo ed editore Arcangelo Strambi. In un periodo difficile per l’editoria, un periodo di transizione in cui si iniziava a parlare di seconda rivoluzione del libro. Era il periodo che vedeva la nascita di una figura di ‘editore’ svincolato dalla libreria e dalla tipografia, il periodo in cui si passava  dai caratteri mobili di Johannes Gutenberg alla stampa rotativa. Il vero fulcro della vita culturale era ormai l’editoria. Attorno alla casa editrice, con rapporti stabili o saltuari ruotavano svariate figure di operatori e collaboratori: stampatori, librai, redattori, traduttori, compilatori e compendiatori, correttori di bozze, consulenti, direttori di collane, prefatori e curatori occasionali e, naturalmente, autori, pubblicisti, giornalisti. Ma la figura che si andava delineando, ancora in modo incerto, era quella dell’editore, distinto, per funzioni e competenze, dallo stampatore e dal libraio.

L’editoria da attività ancora semi artigianale si stava trasformando in attività in senso proprio industriale. Iniziavano a fiorire case editrici maggiori, che cominciavano a tentare vere iniziative imprenditoriali, alle quali dovevano tener testa le piccole stamperie, librai, editori e tipografie attive a livello locale per produzioni minori. Ma Arcangelo Strambi con la sua stamperia a La Rocca, non si arrese, anzi investì tutte le sue forze nel mercato della produzione di libri e giornali. Strambi si occupava anche di produzione di stampati per le amministrazioni municipali, di vendita di libri di altri editori, di cartoleria, di vendita di francobolli. Una pietra miliare nell’ambito culturale civitavecchiese.

Pubblicò titoli di argomento vario: dalla giurisprudenza (Scipio Sighele, Note critiche di diritto penale, 1891) alla letteratura (numerose commedie di Bice C. Manzi), dalla religione all’economia e all’editoria d’occasione (relazioni, elogi, memorie, lettere),  innumerevoli volumi che documentano lo sviluppo culturale ed economico di Civitavecchia. Le sue pubblicazioni accompagnarono il passaggio dal governo papale all’affermazione italiana nel 1870. Nel 1831 stampò “Il corvo spennacchiato” di Benedetto Blasi che merita menzione a parte, l’opera testimonia l’amicizia fra l’avvocato civitavecchiese Domenico Biagini e Giuseppe Gioachino Belli. Preziose la prima edizione della guida turistica “Un cenno della città di Civitavecchia” del capitano palermitano Carlo Merlo del 1856,  “L’Intrepido. Periodico indipendente della provincia di Roma” con direttore responsabile Giovanni Guglielmotti e “Il nuovo eco del Tirreno. Giornale marittimo, commerciale, industriale, politico e di annunzi” con direttore A. Rebecchini che si trasformò poi in “Il porto romano” diretto da A. Muratori.

Dopo la sua morte avvenuta il 15 gennaio 1880, fu Vincenzo Strambi, uno dei quattro figli a proseguire con lo stesso fervore la sua attività pubblicando tra gli anni 1882 e 1902  la quotidianità di Civitavecchia con riviste e  periodici come: “Il Risorgimento”; “Il Faro”; “Fiorello”; “Mefistotele”; “L’unione liberale”; “Leandro”; “Corriere di Civitavecchia”; “Il risveglio operaio”; “Il ventaglio”; “Calendario giuridico del Tribunale di Civitavecchia”; “Gazzetta del Tirreno”; “La lanterna”.

Altri due figli di Arcangelo Strambi, Fernando e Cesare arrivano ad Alatri e fondarono la Tipografia F. e C. Strambi in vita dal 1883 al 1895. Ai due continuò il quarto fratello Ettore che spostò l’attenzione su pubblicazioni inerenti ad  eventi e culti religiosi di carattere locale e dissertazioni tenute presso l’Accademia Ernica di Alatri. Ettore Strambi non era solo un bravo tipografo, nelle cronache dell’epoca risulta infatti coinvolto in una truffa riguardante la proprietà della Certosa di Trisulti. Da abilissimo falsario redasse un falso testamento che assegnava la proprietà ad un suo complice. L’abilità di Ettore Strambi mise in seria difficoltà il magistrato che prese in esame il caso, tanto che lo stesso non seppe distinguere lo scritto autentico da quello falso.

Intanto l’attività tipografica continuava grazie al figlio Petronio. Ancora oggi l’arte della stampa ad Alatri fa rima con la Tipografia Acropoli, come l’editoria locale  con la casa editrice Davide Strambi Editore, gestite eccellentemente da Davide Strambi, discendente di Michele Arcangelo Francesco Strambi, colui che editò e stampò cinquant’anni di vita, storia politica, sociale e letteraria della Civitavecchia dell’800. Una storia oseremmo dire romantica, una storia di pagine bianche, inchiostri e dedizione. Davide Strambi la porta tatuata nel petto, in bilico tra onere e onore, con l’orgoglio, la serietà, la passione e il dinamismo appresi da suo padre Filippo Strambi, figlio di Ettore, fuoriclasse assoluto nel dare un senso, una dignità, un motivo d’esistere alla carta stampata.

Un’eredità che riaccende i colori ed i nomi dei tempi, che non si dimentica e non scolora. Come l’inchiostro che ancora impregna il rullo della macchina a piombo, le cassettiere ripiene di caratteri divisi per tipologia e dimensione, le matrici provenienti da altri Paesi, i cliché in zinco, i manuali e gli strumenti per continuare a scrivere ancora una nuova storia, magari ancora piena di coincidenze, curve e incroci, ma scevra di parole inutili. 

Monia Lauroni

Fonti storiche: Enrico Ciancarini, bibliofilo

Davide Strambi, tipografo, editore