HOMEPAGE CRONACA Intervista esclusiva a Gianfranco Svidercoschi, giornalista vaticanista

Intervista esclusiva a Gianfranco Svidercoschi, giornalista vaticanista

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Intervista esclusiva a Gianfranco Svidercoschi giornalista vaticanista, che ha seguito per oltre mezzo secolo le vicende della Chiesa cattolica. Testimone privileggiato di eventi e soprattutto dell’avvicendamento di sei papi al Concilio Vaticano II°. Già vice direttore dell’Osservatore Romano ha lavorato tra l’altro in diverse agenzie di stampa, giornali, radio, televisione (si ricorderà per gli innumerevoli interventi a Porta a Porta), e sceneggiatore in due film su Papa Woityla di cui era intimo amico; ha collaborato con Giovanni Paolo II° alla stesura di “Dono e mistero”, oltre che alla pubblicazione di una quindicina di libri tra cui “Una vita con Carol” insieme al cardinale Stanislaw Dziwisz, meglio conosciuto come Don Stanislao (finito nei giorni scorsi nella morsa di alcune accuse devastanti per aver coperto casi di pedofilia).
Ad inizio gennaio 2021 uscirà in cartaceo l’ultimo libro di  Gianfranco Svidercoschi dal titolo: “Un Concilio e sei papi – Vi racconto 60 anni di chiesa”.
Dove va la Chiesa? Per tentare una risposta il libro di Svidercoschi parte da sessant’anni fa, dalla svolta decisiva che fu per il cattolicesimo il concilio Vaticano II. Sessant’anni da quando l’autore, giovanissimo, venne mandato dall’agenzia Ansa in Vaticano. Da allora, giorno dopo giorno, ha seguito la traiettoria della Chiesa nel passaggio di millennio. Sei Papi, e gli ultimi tre non italiani. Una religiosità che cambiava, si rinnovava, esprimendosi in un nuovo modo di intendere e vivere il Vangelo; ma anche crisi profonde, divisioni, scandali. Una Chiesa tornata ad essere compagna di viaggio dell’umanità, a condividerne speranze, conquiste, ma anche sconfitte, continui sconvolgimenti. Muri che cadevano, ideologie che fallivano, ma restava la povertà, le ingiustizie, restava una società che sembrava escludere Dio dalla quotidianità. E, nel raccontare la storia della Chiesa, l’autore ha aggiunto la sua testimonianza personale, i suoi rapporti con i Papi con diversi episodi inediti. Proprio sul finire il libro si incrocia con l’esplosione di una tragedia che ha sconvolto l’intero pianeta e, per certi aspetti, la Chiesa stessa. Eppure, proprio da come molte persone hanno reagito alla pandemia, proprio dall’inquietudine che le ha riportate a guardarsi dentro, a riascoltare quella voce interiore, s’è avvertito che si stava in qualche modo ricomponendo l’antica scandalosa frattura tra fede e vita. Come dire che, la rivoluzione avviata sessant’anni fa dal Concilio, cominciava finalmente a dare i suoi frutti: e non tanto nelle mille riforme canoniche o istituzionali, ma all’interno delle coscienze.
Il privilegio di parlare con l’amico Gianfranco Svidercoschi ci dà occasione di parlare degli ultimi accadimenti che hanno gettato un po’ di fango nella chiesa Romana e non solo: dalle accuse a Don Stanislao, al ruolo attuale della chiesa che Svidercoschi ritiene non attenta e distante dai fedeli. Ma Svidercoschi non si sottrae nemmeno ad una domanda che potrebbe essere definita “scomoda” sul “Caso Orlandi”, la quindicenne figlia di un dipendente della Città del Vaticano scomparsa nel giugno del 1983 e di cui si parla ancora. <Avevo da pochissimo accettato la vice direzione dell’Osservatore Romano – spiega Svidercoschi –  quando incontrai il papà di Emanuela Orlandi, era disperato e mi disse queste poche parole: “Povera figlia mia”. Vi era la sua convinzione e anche la mia che nel caso Orlandi non vi fosse la mano nè del Vaticano nè della Banda della Magliana ma un rapimento perpetrato da delinquenti comuni>.
A proposito, invece dell’accusa rivolta a don Stanislao, che avrebbe coperto esponenti del clero che abusavano di cheirici o giovani sacerdoti, o delle accuse rivolte ai papi Giovanni Paolo II° e poi a Benedetto XVI e seguentemente a Papa Francesco. <Vi era l’abitudine – racconta Svidercoschi – che quando alcuni vescovi venivano a conoscenza di atti di pedofilia, anzichè denunciare l’accaduto ai loro superiori: cardinali e papi, spostavano i presunti autori, ovvero trasferivano in altre parrocchie i sacerdoti accusati. I papi non venivano certamente aiutati a capire questi fenomeni. C’era e c’è tuttora nella chiesa romana tanta confusione: per quanto riguarda le accuse rivolte a Don Stanislao – va oltre il giornalista di origine polacca – non ci credo affatto: in una cosa ha sbagliato l’amico Don Stanislao, avrebbe dovuto denunciare subito l’accaduto e non rimanere in silenzio>.
Bruno Gatta e Patrizio Minnucci