Papaveri e papere, papaveri come quelli, presuntivamente ‘alti’ che hanno inviato una lettera sgarbata travestita da macchietta, e papere come quella che gli stessi hanno preso nell’indicare come ‘paperelle’ le tre dirigenti della Asl di Frosinone. Francesca Cerquozzi, che del Partito Democratico è responsabile per i diritti, non è caduta nel ‘trappolone’ della sola e onnivora accusa di misoginia che traspare da quella nota in punto di fumetto disneyano, ma ha fatto di più. Ha colto il punto della faccenda: la dimestichezza che ormai dilaga nel corteggiare il cattivo gusto. E a volte andarci proprio a nozze. “E’ proprio il caso di dire che ‘la papera’ l’ha presa chi ha paragonato le tre manager della Asl di Frosinone a Ely, Emy ed Evy – affonda la Cerquozzi – Quell’immagine disneyana che in questo caso non diverte affatto. Non fa ridere nessuno. Sarebbe ora di dare un taglio a questo strano e umiliante approccio di provare a fare breccia nel cuore della gente. Quello che non sta piacendo a nessuno ed in cui ci sentiamo tutti a disagio. Cadute di stile che sotterrano confronti civili e rispettosi. Una grandinata di palle al vetriolo che ogni alfabetizzato si sente in diritto di lanciare a chicchessia. Resta di fatto però, che le donne, sono i bersagli più ambiti, e seguitano a prendere cazzotti in faccia. Casualmente. Immotivatamente. Come donna e come responsabile provinciale per i diritti esprimo tutta la mia solidarietà alle manager della Asl di Frosinone il cui operato non si discute in termini di professionalità, competenza e preparazione e al contempo condanno fortemente l’atteggiamento denigratorio e banalotto con cui gli artefici della ‘macchietta’ hanno espresso le loro idee. Il mio invito – chiosa amaramente Cerquozzi – è a ritrovare tutti quella pagina che ci ha cancellati dal galateo istituzionale, di tornare alla finezza della conversazione di cui oggi non restano che le ceneri impastate di impudicizia e banalità”. La professionalità non si discute, non ha razze e non ha sesso. Siamo nel 2021, sembra di essere tornati all’epoca di Elizabeth Blackwell.
Monia Lauroni