HOMEPAGE CULTURA Spiagge – Analisi e opinioni del ‘nostro’ Verrengia sull’estate alle porte

Spiagge – Analisi e opinioni del ‘nostro’ Verrengia sull’estate alle porte

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Che fine farà l’estate al mare nell’era del Covid-19? Davvero bisognerà rinunciarci o, peggio, affrontarla con modalità inedite e sconcertanti come le mascherine e i muri divisori di plexiglas? E le smanie per la villeggiatura, che risalgono a Goldoni? E le interminabili code automobilistiche, funestate incidenti e risse? Erano in molti a considerare i rituali estivi una forma di masochismo di massa. Oggi si rischia di confinarli alle memorie collettive, in attesa di un ripristino di quella che, probabilmente, non era proprio la normalità.

Le ferie generalizzate appartengono alla società postmoderna. Nel passato soltanto l’aristocrazia poteva permettersi residenze estive, e fino agli anni ‘20 dello scorso secolo i bagni di mare erano una prerogativa della classe agiata, che trasformò le cittadine costiere in teatri di mondanità. Tanto che di otium estivo, si occupavano Orazio, Virgilio e Cicerone. Autori inglesi del primo Novecento ricamarono a tutto spiano sulla vacanza. Si va dagli umoristi, come Max Beerbohm, Jerome K. Jerome e P. G. Wodehouse, ai melanconici, come Foster e Huxley. Anche il commediografo Noel Coward scrive sul tema Vite private, una delle sue pièces teatrali più riuscite. Agatha Christie approfitta di una stazione balneare greca per ambientarci un giallo da collezione, Delitto sotto il sole. Francis Scott Fitzgerald, americano di nascita e formazione ma europeo in ogni riga di scrittura, sceglie la Costa Azzurra per la cornice del suo romanzo più intenso, Tenera e la notte. La follia della protagonista, ricalcata su quella di sua moglie Zelda, si stempera nel garbato cicaleccio da spiaggia di un’aristocrazia abbronzata. Marittimo e vacanziero, lo sfondo di Foglie secche, di Aldous Huxley.

In Italia, la spiaggia apparve dapprima nel dopoguerra come prolungamento cinematografica dell’epopea balneare fascista, fatta dei famosi “treni popolari”, che partivano di notte, al sabato, per portare sulle coste, la domenica mattina, anche gli abitanti di remote zone dell’entroterra. Negli anni della ricostruzione e del boom, il cinema celebrava La domenica della brava gente, Domenica d’agosto, ecc. Man mano che però la società italiana si evolveva in direzione di più complessi modelli occidentali, si creava una classe media meno pittoresca. Ai poveri ma belli subentravano i benestanti in cerca di identità. La spiaggia cinematografica divenne allora luogo deputato di contraddizioni e di fardelli esistenziali. Dietro di essi aleggiava l’autorevole precedente letterario de La spiaggia, il breve romanzo di Cesare Pavese carico di un’angoscia insolubile da solitudine intellettuale che preludeva al suicidio dello scrittore. In certo cinema degli anni ’60 sotto l’ombrellone Enrico Maria Salerno e Gabriele Ferzetti si interrogavano sul senso della vita, su un sviluppo economico che travolgeva anche i pensieri, le tradizioni, i comportamenti… E intanto occhieggiavano la Mita Medici degli anni verdi in due pezzi. Succede in L’estate (1966), di Mario Spinola. Per non dire di un capolavoro che sulle spiagge versiliane consuma alcune delle sequenze più memorabili, Il sorpasso (1962),di Dino Risi. Lì un grande Gassman istrioneggiava come l’emblema dell’italiano preso da tutto quanto di irrisolto c’era nel miracolo economico e che sulla spiaggia cercava una tregua dalla quotidianità.

All’inizio di non moltissime estate fa, poi, lo avevano ribattezzato “cinecocomero”, equivalente balneare del cinepanettone. Ma gli americani, come al solito, ne avevano da tempo una denominazione più semplice e diretta: “beach movie”, film di spiaggia. Di fatto, Un’estate al mare (2008), dei fratelli Vanzina, riprendeva un filone che veniva da molto indietro nel passato, già portato a nuova vita nel 1983 con Sapore di mare. Quell’epopea dell’effimero nella Versilia degli anni ‘60 rinfocolava il revival nel pieno degli ‘80, debitori di spirito al decennio rievocato. Jerry Calà, Christian De Sica, Giorgio Vignali e gli altri,tra frizzi e lazzi, si facevano perdonare gli evidenti anacronismi nelle pettinature e il pasticcio della colonna sonora, che rinviava a casaccio canzonette di “tutti” gli anni ’60.

È Busby Berkley, genio della coreografia, a trasformare l’estate in magia di movenze con il primo dei suoi balletti acquatici. Nel musical di Lloyd Bacon Viva le donne (1933), inserisce il numero “By a Waterfall” (presso una cascata), in cui le chorus girls, le ragazze del coro, sguazzano dentro e fuori dall’acqua. Nel decennio successivo, Berkley lavorerà alle coreografie per Esther Williams. Con lei, l’estate e il mare saranno più che un mero fondale. Il personaggio di moderna sirena costruito su misura per la diva, saranno infatti il primo irrompere sullo schermo della filosofia da beach movies. La Williams incarna la donna che trionfa nell’elemento mobile, metafora di se stessa, nell’immaginario maschile.

Con l’aggiunta del rock ‘n roll grintoso e insieme patriottico di Elvis Presley, la miscela balneare è pressoché perfetta. Estate, canzoni e baci. Il re della mossa col bacino furoreggia ad Acapulco, Miami e dovunque si raduni un’umanità fatta di ragazze in bikini prese in adorazione e giovanotti muscolosi disposti a farsi da parte per cameratismo e per KO. Viene quindi formata d’ufficio una coppia cinematografica a prova di botteghino: Frankie Avalon e Annette Funicello. Il loro primo film balneare assieme è Vacanze sulla spiaggia, diretto da William Asher nel 1963. Ne gireranno altri otto, più un revival alla fine degli anni ‘80. La formula magica Avalon-Funicello stava nell’apologia della spensieratezza: surf sui cavalloni di giorno e feste notturne, con falò sulla spiaggia. La predominanza dei toni leggeri, non impedì ai beach movies di lasciare tracce più profonde con I cavalloni (1959), di Paul Wndklos e Scandalo al sole (1959), di Delmes Davies, accomunati dall’interpretazione dell’adolescente ufficiale dell’epoca, Sandra Dee.

Negli anni ‘70, senza nostalgie e con tanta determinazione, John Milius avrebbe diretto l’odissea del surf, Un mercoledì da leoni, in cui le onde del Pacifico sono titaniche muraglie d’acqua per giovani che stanno per affrontare le muraglie della giungla vietnamita, tragicamente riprese in una scena di Apocalipse Now (1979), di Francis Ford Coppola con Robert Duvall che interpreta il colonnello Kilgore, sprezzante dell’artiglieria vietcong e impaziente di fare surf sulle rive gli un villaggio appena raso al suolo con il napalm. Quasi ad evocare, nel pieno di una guerra infinita, l’estate, la spiaggia e il marequali rifugi della memoria dalle incognite del presente.

Come faremo nei mesi che ci attendono?

Enzo Verrengia