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Salute – Lo stress dei genitori ricade sui figli

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Gli stress dei padri ricadono sui figli, e addirittura sui nipoti, ma a questa scomoda eredità potrebbe opporsi un trauma cranico. La scoperta deriva da uno studio sui reduci di Afghanistan e Iraq pubblicato su Biological Psychiatry dai ricercatori del Veterans Affair Medical Center di New York diretti dalla psichiatra Rachel Yehuda della Mount Sinai School of Medicine, una dei massimi esperti mondiali di PTSD, acronimo di post traumatic stress disorder, cioè disturbo post-traumatico da stress, la sindrome che colpisce dopo un forte choc traumatico come subire una rapina, un abuso sessuale, il coinvolgimento in un attentato o anche in un incidente stradale.

I sintomi

Il PTSD provoca nervosismo e stato di allarme eccessivi con paure infondate, sensazione di rivivere l’evento traumatico con pensieri intrusivi e flashback, deficit di memoria, insonnia, depressione, ecc. I sintomi sono più gravi nelle donne, nei giovani con meno di 25 anni, negli ossessivi e in chi attraversa un brutto periodo economico. La Yehuda ha ora scoperto che sono meno gravi in chi ha un contemporaneo trauma cranico, soprattutto per quanto riguarda la frequenza, un dato del tutto nuovo perché finora il PTSD era noto per gli effetti a lungo termine difficili da attenuare: dopo lo Tsunami in Thailandia e Maldive, ad esempio, 3500 svedesi che svernavano nelle isole ne presentavano ancora tutti i sintomi 3 anni dopo.

Epigenetica

Situazioni analoghe si sono verificate nei sopravvissuti delle Torri Gemelle, ma nessuno poteva immaginare che il PTSD potesse trasmettersi anche ai figli dei traumatizzati o addirittura ai nipoti: la Yehuda ha dimostrato pure questo in un altro studio appena pubblicato su Psychoneuroendocrinology. Lo scomodo fardello viene tramandato attraverso la cosiddetta ereditarietà epigenetica scoperta nel ‘900 dal biologo Ernest Everett Just dell’Università di Chicago: differentemente da quella genetica, la epigenetica passa il testimone per un periodo di tempo limitato attraverso il più labile RNA e non tramite il saldo DNA che poi la mantiene per sempre. «E’ un po’ come se nel nostro genoma un certo tratto venisse scritto a matita, piuttosto che a penna –spiega il Professor Carlo Alberto Altamura dell’Università di Milano, psichiatra di riferimento nel nostro Paese per l’epigenetica dei disturbi psichici- l’RNA è la matita che, volendo, si può anche cancellare. Il DNA invece è la penna che scrive in modo pressoché indelebile: occorrono millenni per inserire un tratto nel DNA, mentre per un tratto epigenetico dell’RNA può bastare un singolo devastante evento traumatico: sopravvivere ad esempio alla bomba di Piazza Fontana o della stazione di Bologna, oppure, come ha indicato la Yehuda, al campo di concentramento o alla guerra in Afganistan».

Esami rivelatori

Quello che non si sapeva è che in realtà il tratto epigenetico non si cancella del tutto e con determinati esami ematochimici se ne possono rintracciare i segni, come la Yehuda ha fatto nei nipoti dei sopravvissuti all’olocausto dove la concentrazione di cortisolo, un ormone secreto dal surrene per recuperare energia, è ridotta. Il cortisolo, noto anche come ormone dello stress, stimola il desiderio di alimenti calorici, una funzione filogeneticamente importante perché anticamente lo stress derivava dal fronteggiamento di pericoli che richiedevano in fretta calorie per combattere o fuggire. Nelle donne internate nei campi di concentramento che subivano privazioni e stenti si sarebbe attivato epigeneticamente l’enzima che degrada il cortisolo per ridurre il desiderio di cibo che non potevano soddisfare. Quel tratto epigenetico però, soprattutto se le donne erano nei primi mesi di gravidanza, è stato trasmesso ai figli che l’hanno tramandato ai nipoti che continuano ad avere poco cortisolo nonostante ora possano disporre di cibo. Così, se da un lato resistono meglio alle privazioni, dall’altro nell’abbondanza alimentare sono più esposti al rischio di sindrome metabolica, obesità, ipertensione e insulino-resistenza, perché il loro sistema di regolazione della fame non è funzionale.

Cambia solo la funzione

«Le modificazioni epigenetiche che accumuliamo nella vita non alterano il nostro DNA –puntualizza Altamura- ma gli danno un’impronta personale che ne modifica la risposta funzionale, rendendo ognuno di noi un essere unico che risponde in maniera univoca agli stimoli ambientali che incontra. Secondo la Yehuda questa unicità epigenetica passerebbe anche da madre in figlio in utero, un’idea che porta avanti dal 2007 quando la presentò sugli Archives of General Psychiatry con i colleghi della Mount Sinai School of Medicine dove da una decina d’anni raccoglie dati sui discendenti dell’olocausto per dimostrare che si è verificata questa variazione epigenetica dei nucleotidi che ne ha alterato l’espressione senza cambiare il DNA. Un’ipotesi affascinante, ma ancora in fase di verifica».

Il trauma cranico ci protegge?

Alterazioni del cortisolo sono state trovate anche nello studio sui veterani, ma qui la Yehuda introduce un elemento nuovo: se si verifica un trauma cranico questo si oppone alle alterazioni cortisolemiche indotte dal PTSD, un po’ come se una botta in testa ci rimettesse coi piedi per terra, riducendo gli effetti dello stress e forse anche le sue conseguenze epigenetiche. Non essendoci soldatesse nello studio non possiamo però averne certezza dato che la Yehuda ha trovato una trasmissione solo fra madre e figli e non fra padre e figli, fenomeno evidenziato l’anno scorso solo nel topo maschio da Brian Dias dell’Università di Atlanta su Nature Neuroscience. Poiché non è il caso di prendere a randellate i poveri topolini per vedere se trasmettono ancora lo stress ai loro figli, restiamo nel dubbio.

Proprietà opposte

Ciò che è certo è che nei soldati che sviluppano PTDS, ad esempio durante un bombardamento, il cortisolo si riduce rispetto a chi non lo sviluppa, ma se subiscono anche un trauma cranico le cose cambiano. Analizzando le concentrazioni di cortisolo nelle urine dei 122 soldati si è visto che trauma cranico e stress agiscono in maniera opposta. Tutti i soldati sono stati valutati con la scala CAPS, l’intervista clinico-diagnostica usata in tutto il mondo per dare un punteggio a intensità e frequenza dei sintomi da stress in conformità al DSM-IV°, la bibbia degli psichiatri. I 15 col solo trauma cranico hanno riportato valori inferiori a 20, mentre nei 44 con solo PTDS il punteggio levitava a valori anche superiori a 40. In tutti gli altri i valori erano intermedi, indicando che il trauma cranico controbilancia quello da stress. I ricercatori traggono un’indicazione nuova per i pazienti con PTDS: considerare sempre la contemporanea presenza di un eventuale trauma cranico per orientare meglio diagnosi e cura. «Le opposte proprietà biologiche e cliniche che sembrano avere queste due condizioni non sono importanti solo in guerra dove le ha studiate la Yehuda –commenta il Professor Altamura- ma anche nella vita di tutti i giorni: l’automobilista che arriva in pronto soccorso dopo un grave incidente, se sopravvive alle lesioni rischia di sviluppare un PTSD. In alcuni il disturbo è meno grave e si riteneva che ad aiutarlo fosse la sua particolare resistenza epigenetica, o come diciamo noi resilienza, ma se ha un trauma cranico potrebbe essere anche questo che, paradossalmente, si oppone al disturbo post-traumatico da stress. Se la Yehuda ha ragione, converrà tenerne conto».

Fonte: corriere.it