HOMEPAGE CRONACA Diario di Giorni di ordinaria Epidemia – Giorno 8

Diario di Giorni di ordinaria Epidemia – Giorno 8

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 I palinsesti della tv all’epoca di Covid sono un pugno nell’occhio, specie se uno azzarda di fare capolino dalla finestra per una boccata d’aria che gli rimanda colori e calore della primavera che bussa. E ad un certo punto, come una scema mi accorgo che, anche a fare la tara alla situazione che bella non è, la televisione faccenda noiosissima lo è sempre stata. Fuori c’è di meglio, anche se fuori significa sette metri quadri di visuale in un vicolo. Stamattina perciò non ho avuto incertezze nello scegliere fra la replica numero 1022 di Walker Texas Ranger e la contemplazione della fetta di mondo su cui affaccia la mia finestra. E questa scelta mi ha premiato, regalandomi una scena che mi ha rimesso in pace con il sorriso. C’era un gatto, un grosso randagio bicolore non privo di una certa solenne regalità da ras di quartiere, che bighellonava come uno squalo peloso, descrivendo piccoli otto fra casa mia e quella dei vicini. Qualche volta, in deroga millimetrica dalle regole e bardata come una postina di Chernobyl, sono scesa sull’uscio e gli ho allungato del cibo, un po’ per lui, un po’ per me, per avere l’impressione di fare qualcosa di normale senza pagare pegno o farlo pagare agli altri. Ad un certo punto, giusto mentre un signore anziano percorreva lemme il vicolo con una piccola sporta di spesa, è accaduto. Nel bel mezzo del solenne e ripetitivo transito del signore, il gatto ha fatto una cosa che di solito i gatti fanno, a contare le loro ataviche debolezze polmonari: ha starnutito, forte, con quel suono un po’ tirato e quell’esplosione finale semi trattenuta che i gatti hanno quando sparano via una cartuccia d’aria, gli occhi chiusi e uno scatto fulmineo della testa verso il cielo. Un cielo che, proprio in quel momento, coincideva con il cavallo dei pantaloni dell’umano deambulante. In vita mia ho visto partire razzi, scattare cobra neri e saltare canguri mannari, ho visto mortaretti esplodere fra le gambe delle donne a Capodanno. Ho visto anche il fenomenale lampo della lingua del camaleonte che si lappa la cavalletta che ha scelto per merenda, ma mai, e dico mai, tranne quando lo ha fatto il mio Ronaldo, ho visto un essere umano saltare da fermo e portare i talloni dove prima c’erano i suoi zigomi chiamando a contrappello tutte le entità del cielo. Sono esplosa, un po’ in colpa a pensare che magari dietro quella reazione c’era la psicosi del coronavirus, che è cosa su cui ridere poco. Poi però ho pensato che ridere è l’ultima cosa rimasta, a me ed al mondo, per uscire sani da questa situazione dopo esserci preoccupati di uscirne vivi. E ho riso ancora. E mi ha fatto bene. Così, per dire.

M.L.