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Ciao Asto

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Era il 20 marzo 2016 e il Matusa di Frosinone ospitava la gara di campionato di serie A tra i padroni di casa e i viola.
Una partita bella e ben giocata che finì con il risultato di 0-0. Due legni e alcune grandi parate di Nicola Leali (portiere canarino di allora) impedirono alla squadra di Paulo Sousa (l’allora allenatore dei viola) di espugnare il Matusa. Nel finale di gara poi i giallazzurri sfiorarono la vittoria con Oliver Kragl che colpì una traversa con il suo solito terrificante sinistro da lontano.

Davide Astori quella domenica era in campo nella difesa a tre della Fiorentina, giocò tutti i novanta minuti più recupero e si comportò come spesso gli è capitato nella sua carriera: benissimo. Giocò una partita senza sbavature e di leadership tanto che a fine gara la società viola decise di farlo parlare davanti ai microfoni delle tv nazionali e locali. Nel calcio è tradizione che chi, si comporta bene sul campo, poi a fine partita spesso viene a parlare con i giornalisti per dire la sua sul match appena disputato.

E il mio ricordo di Davide Astori inizia da lì, è lì nella mix zone dello Stadio Matusa di Frosinone che ho avuto il privilegio e l’onore di conoscere per la prima volta il difensore ex Cagliari, Roma e con tante presenze anche nella Nazionale Italiana di calcio. In Nazionale non ci giochi se sei un cattivo atleta. La Nazionale è da sempre il punto di arrivo più alto per ogni atleta professionista ma è anche una scuola di comportamento. Se sei stato, e hai, indossato la maglia dell’Italia non sei mai come gli altri. Sei uno di più. Un esempio per i giovani e per tutto il movimento calcistico italiano e Davide Astori era proprio così. Un esempio, un ragazzo perbene, per usare le parole di Gigi Buffon, “un grande ragazzo perbene”. Mai una parola fuori posto in tutta la sua carriera da calciatore professionista, tanta educazione esibita con disinvoltura su tutti i campi d’Italia e D’Europa, e il rispetto conquistato sul campo in tutte le squadre in cui ha giocato.

A Cagliari lo ricordano con affetto tutti, società, tifosi e persone che non si interessavano al calcio. A Roma è accaduto lo stesso, era arrivato in silenzio nella Capitale ma era riuscito ad imporsi nella squadra dell’allora allenatore della Roma Rudi Garcia. Un secondo posto in campionato e tante battaglie vinte prima di approdare a Firenze dove dopo tre stagioni da titolare indiscusso era diventato anche l’attuale capitano della squadra viola. Un capitano è un punto di riferimento per tutti, il capitano di un gruppo è quello che indica la strada da seguire e tutti lo stanno a sentire. Capitano non ci diventi se non hai qualità morali importanti. Se non sei un esempio in campo e fuori. Davide Astori, senza aver paura di scadere nella retorica, era tutto questo. Aveva una famiglia bellissima, una moglie e una figlia piccola di appena due anni, (ora come si fa a spiegare ad una bimba piccola che il suo papà non c’è più?) una vita felice, e tanto affetto.

In quella camera d’albergo di Udine però tutto questo non é bastato. Il destino se ne infischia se sei una persona perbene. “Il destino mescola le carte e noi giochiamo”. Questo diceva Arthur Schopenhauer. Il destino per Davide Astori ha deciso così. Ha deciso che lui non doveva più essere tra noi ad indicare a tutti quelli che gli volevano bene quale era la strada giusta da seguire. Di lui rimarrà un ricordo bello, pulito, di un ragazzo umile, sorridente e sempre disponibile come in quel pomeriggio del 20 marzo 2016 al Matusa di Frosinone.

Ciao Asto, ti chiamo così perché ho avuto l’onore e il privilegio di poterti conoscere da vicino.
Mi mancherai e mancherai a tutti.

Massimo Papitto