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BAR di Donato Novellini

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La novità narrativa dell’anno a mio avviso si chiama Donato Novellini, già da me menzionato come grande critico artista, in Bar (Giometti-Antonello-Macerata 2018) si erge come straordinario narratore. Dotata di uno stile che ipnotizza, la testualità rappresentata in Bar è portatrice d’una complessità che non inerisce tanto al segno quanto al linguaggio nella sua interezza, al suo proprio gesto. Si può ben parlare, senza tema d’essere smentiti, d’un’opera scritta per lasciare un suo segno, come di un marchio registrabile nella fabbrica del linguaggio, non procrastinabile.

Il narratore rinasce e risorge dalle sue stesse ceneri in modo quasi retrattile; con la velocità d’un rettile individua la sua nuova preda, che si rivela ancora e sempre un frammento del suo stesso essere. Pertanto l’approccio al reale quotidiano gli appare sì da spiare, per quanto insulso e ributtante possa essere, ma per riconfermarne con gesto sprezzante il pieno disprezzo, tradendo oscillazioni di gusto, o meglio d’irrefrenabile disgusto, ai danni di qualcosa che lo priva di ogni speranza.

In BAR lo stile di Novellini trova la sua applicazione più congeniale: la sintesi rapida, il fraseggiare geometrico, il contrappunto icastico e tagliente confortano le visioni e gli sguardi tanto delle comparse incontrate nei bar quanto nelle descrizioni minuziose dei paesaggi cupi e nelle forme rotonde delle cameriere. Il libro è strutturato come una raccolta di racconti con titolo ma potrebbe esser letto anche come romanzo unico, con narrazione che divora il lettore e l’autore stesso per, alla fine, ricominciare daccapo.

Un libro infinito quindi che io stiperei tra quelli da rileggere sempre, di tanto in tanto, assieme all’Ulisse di Joyce, alla Ricerca di Proust, al Viaggio di Céline, ai racconti di Conrad e Gadda.

Patrizio Minnucci